“Sushi uber alles”, un alimento un’ “alternativa” nell’era post-ideologica: all you can eat

In tempi di profondo disaccordo come questi, dove trovare punti in comune su argomenti riguardanti politica, economia, unioni civili o chiusura delle frontiere è pressoché impossibile, c’è una realtà che sembra trovare l’approvazione, la condivisione e l’accordo di molti: il mondo dell’all you can eat.

Gli orientali infatti, dopo essere approdati sul mercato italiano nel mondo dell’e-commerce grazie a prodotti con prezzi decisamente più vantaggiosi rispetto all’artigianato made in Italy, con i relativi e giustificati dubbi circa la qualità, arrivano a proporre un’alternativa, sfociata in moda, sul campo della ristorazione, facendo arrivare sulla penisola italica il sushi.

Il sushi è un alimento con pochissime calorie, che quindi non porta, se consumato spesso, ad incrementare massa grassa. I rischi sono però dietro l’angolo: qualora non sia stato ben congelato ed eviscerato quanto più rapidamente possibile, potrebbe nascondere al suo interno ospiti ben poco graditi come l’Anisakis, un verme che si insinua all’interno della muscolatura dei pesci e che, se arriva all’uomo, può provocare vomito, dolori addominali e diarrea, il tutto a 12-24 ore dopo l’ingestione.

La formula che sta conquistando il mercato della ristorazione è molto semplice, “mangia quanto vuoi (soprattutto quanto puoi), ad un prezzo fisso”, e vede un’ottima risposta da parte dei clienti italiani che, in veste di “esperti conoscitori” del mondo orientale (magari per aver letto qualche fumetto manga), o di semplici curiosi, affollano i ristoranti giapponesi.

È da valutare però se questo affollamento equivalga ad un’effettiva e ripagante opportunità di business: la media dei prezzi si fissa a 10€ per il pranzo e 20€ per la cena. Prezzi che sicuramente hanno molto appeal sui clienti che, a discapito della qualità, decidono di optare per il fantomatico “pancia mia fatti capanna”.

La proposta economica degli amici giapponesi però non si limita a proporre il menù nel modo più convenzionale, anzi: introducono il “nastro trasportatore”, che come si evince dal nome, pensa a far girare all’interno del ristorante porzioni di diverse pietanze tra i tavoli.

Questo metodo, oltre a contribuire drasticamente al taglio sui costi del personale, reinventa il concetto stesso di buffet, ed offre una valida alternativa a coloro che preferiscono vedere effettivamente ciò che scelgono piuttosto che dedurlo da sfocate e ben poco rappresentative immagini presenti nei menù accanto al nome dei piatti.

È interessante analizzare anche quella psicologia di cui sono vittime i clienti meno temerari: negli all you can eat “a ordinazione” infatti, gioca un ruolo fondamentale la figura del cameriere che, con il progredire degli ordini, accentua quello sguardo inquisitorio che fa nascere, o almeno cosi dovrebbe, irreparabili sensi di colpa, tali da fermare la tua voglia di appetito.

Per gli avventori del nastro trasportatore invece la logica è un’altra: prendendo infatti singole porzioni è facile trovarsi sommersi da piattini e coperchi sul tavolo, tanto da indurre a credere di aver mangiato molto, quando in realtà non è così. Passeranno poi pietanze sicuramente molto attraenti ma dal costo molto ridotto, assicurando così il guadagno del ristoratore, ma convincendo voi di aver risparmiato e soprattutto di essere sazi.

Nonostante l’Italia rappresenti la cultura del buon cibo per eccellenza a livello internazionale, l’opinione pubblica sulla moda orientale è divisa.

Carbonara o sushi? A voi la scelta.

Simone Rufino

Francesco Serafini