Storie della Prima Repubblica. Paolo Cirino Pomicino, “O Ministro”

Ieri fin troppo chiacchierato ministro, oggi lucido analista politico. I flash della memoria ce lo raccontano come uno dei principali protagonisti degli ultimi anni della Prima Repubblica. Piaccia o non piaccia, l’uomo oggi è ritenuto uno degli ultimi cavalli di razza viventi espressi dalla politica italiana. Nel bene e nel male. La leggenda lo demonizza, le sentenze lo assolvono. Sto parlando di Paolo Cirino Pomicino, una prima vita da democristiano tra altari e polvere uscito indenne dalle forche caudine di Tangentopoli; una seconda vita da “Geronimo”, acuto osservatore politico per testate nazionali. Va collocato nella galleria dei purosangue politici insieme con Massimo D’Alema.

Mi scuso per eventuali omissioni, ma non riesco a vedere altri contemporanei al loro livello. Intellettuali ovviamente esclusi. E mi riferisco a Stefano Rodotà, ad Aldo Masullo, a Gustavo Zagrebelsky e a qualche altro. Conobbi Pomicino quando da giovane neurologo alla professione medica figlia degli originari insegnamenti di Ippocrate preferì l’arte del possibile – la politica – quella più parmenidea che platonica. Lo incontrai la prima volta negli allora uffici dell’assessorato napoletano all’Istruzione del Comune di Napoli in via Medina. Correva l’anno 1974… Io giornalista alle prime armi, lui assessore di primo pelo. Tra le raccomandazioni che mi rivolse a fine intervista vi fu quella del corretto uso della lingua italiana. Soprattutto in relazione al virgolettato… Ci teneva a far bella figura e temeva che lo facessi passare per uno sgrammaticato. Non fu un complimento. Primi passi di un puledro democristiano di razza, primi passi di un aspirante giornalista di un quindicinale regionale – La Voce della Campania – filoberlingueriano. Passarono gli anni, a Napoli e provincia si creò l’asse Pomicino (andreottiano)-Giulio Di Donato (Psi)-Francesco De Lorenzo (Pli). Non si muoveva foglia che i tre non volessero. Furono definiti “i viceré” e descritti come i veri padroni di Napoli per oltre un decennio. Grazie alla tollerante benevolenza di Antonio Gava – capo indiscusso della DC napoletana – verso la metà degli anni ’80 i tre assumono il controllo di un pacchetto di televisioni private la cui gestione viene affidata a Maurizio Iapicca, ex socio di Teleuropa e futuro uomo di fiducia di Silvio Berlusconi. Le emittenti diventano fabbriche di giovani giornalisti e luoghi di favori in materia di informazione e visibilità. In Campania, invece, in quegli anni dettava legge l’asse Ciriaco De Mita (Dc)-Roberto Conte (Psi).

Una dicotomia di lunga durata questa tra regione e capoluogo. Demitiani e gavianei in lotta perenne e in perenne armistizio sulla spartizione del potere campano e napoletano. Prepara la guerra per conservare la pace, era questo l’imperativo che circolava negli ambienti scudocrociati. E i democristiani in materia ci sapevano e ci sanno fare… Pomicino scala tutto lo scalabile. Ormai romano di adozione, i suoi incontri riservati quando è a Napoli li organizza all’ombra della discrezione del Grand Hotel Excelsior, lo storico albergo del Lungomare che si affaccia su Megaride, l’isolotto che ospita Castel dell’Ovo. Un angolo del bar dell’Excelsior quando c’è lui diventa una sorta di confessionale ad uso di amici, avversari ed alleati. Correvano gli anni in cui al Comune di Napoli – al pari degli altri Comuni – si assumeva ancora per titoli, chiamata diretta o – all’occorrenza – per concorsi addomesticati. E a quel tempo le elezioni erano piuttosto frequenti… Oggi non sono pochi i pensionati dell’ultima leva che devono riconoscenza all’ex ministro… E ho detto tutto. Anche io, conoscendo le sue abitudini, quando volevo “acchiapparlo” per motivi professionali, sapevo dove trovarlo. Altro scenario ad agosto. Spesso in compagnia di De Lorenzo e Di Donato, era facile rintracciarlo prima di cena attorno a un tavolino della terrazza del Quisisana di Capri, storico palcoscenico estivo per vip e parvenue. Per cena, invece, c’erano ad attenderlo le panche e i tavoli all’aperto del ristorante “Faraglioni”, ritrovo prediletto del jet-set internazionale. Tra impegni, contrasti, manicaretti, donne e champagne, clamoroso un suo provvedimento quando bazzicava Palazzo Chigi. Da Ministro della Funzione Pubblica, con il fiato sul collo dei sindacati confederali, sul finire della primavera del 1988 Pomicino concede un aumento agli insegnanti di 500mila lire nette mensili, cifra equivalente a circa un terzo degli stipendi percepiti.

Altro che 80 euro… Un aumento record, un aumento percentualmente mai registrato. In passato come fino ai giorni attuali. Una mazzata per le casse statali, una boccata d’ossigeno per i docenti economicamente sacrificati da anni. Un tourbillon di impegni, una girandola frenetica che tuttavia non priva Pomicino del gusto di suggestivi blitz nella galassia femminile. Blitz strettamente riservati fino a quando il suo cuore matto non gli impose sentieri erotico-sentimentali meno accidentati. Famosa la sua sbandata per una signora che frequentava la segreteria cittadina della DC che si affacciava sulla Galleria Umberto di Napoli. Un “fuori pista” che imbarazzò l’allora segretario Enzo Diretto e che sconcertò l’allora quasi imberbe tesoriere Riccardo Villari. Poi il tempestoso Congresso DC nel 1989 che terminò con la sostituzione di De Mita con Arnaldo Forlani alla guida del partito. Si svolse nel Palazzo dello Sport dell’Eur, il tempio nel quale nel 1960 Nino Benvenuti e Cassius Clay si aggiudicarono le medaglie d’oro olimpiche a suon di cazzotti. E di cazzotti e colpi bassi ne volarono tanti tra gli “amici” scudocrociati. Fu l’ultimo congresso democristiano. L’andreottiano Pomicino ne uscì soddisfatto a metà. Poi le chiacchiere, le accuse, le inchieste su Italia ’90, i campionati mondiali che videro il San Paolo terreno di sfida tra alcune nazionali. Chiacchieratissimo il “Tram veloce” che doveva collegare Piazzale Tecchio con Piazza Plebiscito. Pagò per tutti l’assessore comunale Silvano Masciari (Psi), Pomicino ne uscì indenne.

A 26 anni di distanza il Tram veloce ha cambiato nome, ora si chiama Ltr. Ma il traguardo è ancora lontano… E poi il capitolo Tangentopoli che travolse l’intera classe politica e coinvolse anche l’ex ministro, tanto da indurlo a una lunga eclissi. Nel 2004 ‘O Ministro – così lo chiamavano amici e clienti – si fa eleggere europarlamentare rispolverando il vecchio portafoglio-voti personale. Lo aiuta nella campagna elettorale il fratello Lucio, giornalista del Mattino appassionato di pallanuoto. Gli è vicino anche Iapicca nonostante sia di Forza Italia e Pomicino sia candidato per l’Udeur di Clemente Mastella. Trasversalismo centrista in nome della vecchia amicizia. L’Udeur conquista soltanto un seggio, Mastella cede il proprio posto all’amico ex ministro. Scarse le tracce dell’andirivieni di Pomicino tra Roma, Strasburgo e Bruxelles, di tangibile restano i ricchi emolumenti europei. Poche tracce e soldi a sbafo. Ma c’è da sottolineare che difficilmente gli europarlamentari fanno notizia e che già in quegli anni Pomicino attirava l’attenzione più nelle vesti del vecchio capo Apache che nelle vesti di rappresentante istituzionale.

Una metamorfosi inarrestabile tanto che oggi l’ex ministro per quanti seguono la politica è sempre più riconoscibile come “Geronimo” che come Pomicino. Il trapianto di cuore, il vitalizio, le ospitate in tv, la giovane moglie. Se la passa bene, ‘O Ministro… A sentirlo, la sua amarezza – da cavallo di razza della politica quale è – è nel constatare come ciò che resta dei partiti sia privo di storia, di valori di riferimento, di progettualità. Partiti e politica senza bussola. Pomicino sostiene che in questo contesto non si va da nessuna parte. E che le conquiste sociali della Prima Repubblica, pur tra ruberie e scandali, sono traguardi non più raggiungibili. Mancano gli uomini e le idee. Altra storia.. Tra luci e ombre. E resta un piacere ascoltarlo, un abisso lo divide da quanti oggi fanno passerelle quotidiane in tv. Ultimi nitriti in un coro di ragli…

Marino Marquardt