Psicologia&Società: la seconda nascita, le fasi conflittuali e il possibile sbocco “criminale”

Per l’individuo apprendere è naturale, i bambini alla nascita sono predisposti ad imparare. Il tutto avviene tramite le percezioni, tramite i sensi, tramite l’educazione e la società che lo circonda. Come una sorta di imprinting che rende “normale” ciò che vediamo, sentiamo e impariamo nel quotidiano e che si sviluppa anche in base alle condizioni ambientali, economiche, familiari.

La psicologia ci propone l’approccio del Life Span (arco di vita) e del Life Course (corso di vita); nel primo, lo svilupparsi dell’uomo dalla nascita alla morte in maniera indipendente e personale, attraverso la realizzazione degli obiettivi, delle sfide, dell’adattamento e il superamento degli ostacoli. Mentre il secondo, inerente agli aspetti di tipo culturale e sociale, la riconoscibilità del proprio essere e il susseguirsi dei ruoli in base agli eventi.

Una delle fasi che vengono superate e affrontate, tra le più complesse, è quella dell’adolescenza, in cui lo studioso Stanley Hall (1904) propone la cosiddetta: seconda nascita. Un passaggio estremamente delicato, difficile, se non drammatico; è come se vi fosse una totale rigenerazione degli aspetti del soggetto, la personalità muta per divenire adulta. È il momento in cui si scontrano i sentimenti, vi sono stati d’animo dolorosi, un continuo contraddirsi, conflitti familiari, una maggiore propensione al rischio. Il bambino non si riconosce più in questo ruolo, ma neanche in quello adulto e per arrivare al nuovo ruolo deve affrontare le difficoltà che la società impone/propone, cercando di ricostruire la personalità, dovendo affrontare un cambiamento fisico, l’approccio con l’altro sesso e un differente modo di porsi con lo stesso sesso, inseguendo una libertà e un’autonomia sempre maggiore.

Verranno meno le certezze che fino a quel momento lo avevano accompagnato. È in questa fase che il trasgredire, peculiarità di questa età, può divenire fattore di rischio aggravante. Al contempo vi è una modificazione anche nel gruppo dei pari, dove nasce l’esigenza di avere più popolarità e approvazione; l’appiglio al quale fare riferimento per la modificazione degli aspetti valoriali proiettati al futuro, sul progetto di sé e della propria individualità. Tutto questo comporta delle reazioni differenti e direzioni diverse anche in base al sostegno da parte dell’habitat di pertinenza, la famiglia è molto importante in rapporto alla criminalità.

Se tanta importanza viene data al gruppo dei pari per un riconoscimento della personalità è altrettanto importante in funzione della possibilità dello scatenare atti devianti. Viene alla luce quindi, la necessità di ricercare qualcosa che possa rispondere alla sofferenza, sperimentando alcool o droghe, attuando condotte delinquenziali, compiendo atti di bullismo, fino alla violazione delle norme. Tranne rari casi di omicidio volontario, fatti considerevolmente particolari che vanno trattati con “un altro paio di maniche”; si tratta di reati banali, spesso contro il patrimonio, comunemente definiti Mickey Mouse crimes (i crimini di Topolino). Vi è stato indubbiamente un ampliamento del fenomeno sia in Italia che all’estero, come dimostrano le statistiche; perlopiù inerente bande giovanili, prepotenze nei confronti dei più deboli, bullismo, atti contro la persona, e in Italia, l’utilizzo degli adolescenti in ambiti mafiosi, i “picciotti”.

Visti gli aumenti dei casi nel corso degli anni, spesso si torna ad interrogarsi se non sarebbe il caso di abbassare il livello di punibilità del minore ad un età inferiore, attualmente stabilito ad anni 14. Nel contempo vi è stata però una miglioria nel sistema penale che supporta sempre più il minore autore di reato tramite figure preposte ad analizzare caso per caso il modo di intervento e la rieducazione per un miglior reinserimento del giovane nella società; fondamentale è l’utilizzo della messa alla prova, attraverso progetti di lavoro, volontariato, attività sportive e via dicendo. Ben più complessi sono i casi in cui il minore viene tenuto in Istituti penali minorili, molto spesso si stratta di situazioni difficili da gestire sul piano sociale, dove vi è una carenza o assenza di un sostegno esterno come la famiglia. Con tutte le difficoltà del caso il Dipartimento della giustizia minorile e della comunità, sta continuando il suo lavoro per cercare di migliorare il processo penale minorile e l’aiuto che deve essere dato ai minori autori di reato; i quali non devono essere etichettati e ghettizzati, come succedeva un tempo, alla figura di criminali; ma fornire una possibilità di comprendere l’errore commesso, l’assunzione della responsabilità del fatto, la comprensione di sé, per costruire quella personalità che da bambini li porterà a divenire adulti, evitando di ricadere in condotte devianti.

Marta Scilimati