Ponte sullo stretto. “Posti di lavoro? Non mi faccio prendere in giro da Renzi”. La “battaglia” del sindaco di Messina Accorinti

L’Italia dei Comuni, delle regioni, del Parlamento, ovviamente dei partiti, è in gran parte il Paese di mestieranti senz’arte né parte che s’arrampicano con ogni mezzo sugli scanni istituzionali e lavorano con lena, pur senza esagerare con gli straordinari, per conservare a vita la “professione” di politico. Quasi sempre ci riescono e diventano soci ad honorem della casta. Mai contenti di privilegi immeritati, si adoperano per profitti aggiuntivi e di qui nasce il fenomeno italiano della prima, seconda e terza Repubblica, ovvero della tangentopoli e dei suoi succesori. Talvolta  deputati  e senatori, avvinti come l’edera al titolo usurpato di “onorevole” abolito niente meno che da Mussolini, si esercitano nel salto della quaglia e indossano la nuova casacca della formazione politica da cui spremere limoni più sugosi. Si capisce bene perché le forze dell’opposizione non spingono mai a fondo il freno per stoppare la legislatura che dichiarano odiata, vituperata. Il rischio di essere bocciati alla tornata elettorale successiva impone l’alt a nuovi, imperscrutabili responsi delle urne. Non è così per tutti. Il drappello di veterani, con forti radici nell’elettorato del proprio partito, viaggiano tranquilli in ogni condizione di mare. Il loro futuro è garantito a vita, alla pari degli esimi senatori all’infinito che era concesso di nominare al Presidente della Repubblica. Il resto è mistificazione, una variante della  presa per i fondelli che si adorna di pizzi e merletti del politichese, cioè di una lingua coniata per dire o fare una cosa pensandone un’altra, l’unica che porta al mulino dei consensi il popolo degli elettori. E allora “giù le tasse” è la promessa da marinaio più gettonata, il passepartout per entrare in empatia con chi i tributi li paga e in aggiunta regalie pre-elettorali, qualche euro più alle pensioni  povere, equivalente grosso modo di una scarpa prima e una dopo il voto di laurina memoria.

Se vi sono analogie Renzi-Berlusconi: certo, non sul terreno  del gossip, del valzer delle olgettine, dei festini allietati da fanciulle a stipendio, esclusiva dell’ex cavaliere non fosse altro che per i costi,  ma le sventagliate di più soldi in busta paga per i pensionati, l’annuncio rituale “meno tasse” e il funambolico corollario del Ponte li avvicinano e di parecchio. Dunque lo Stretto, come l’ha fatto la natura, braccio di mare più o meno ampio che collega le isole alla terraferma. Macro esempio il Giappone  e il suo sterminato arcipelago che non conosce l’audacia di ponti stupefacenti quanto costosi. Emulo di Silvan, il presidente del Consiglio sceglie con impeto promozionale di ripescare con un funambolico gioco di prestigio il proclama berlusconiano “E ponte sia”. Lo fa, neanche a dirlo, in corso di visita all’Impregilo, titolare dell’appalto per la realizzazione dell’arcata sospesa più lunga del mondo con cui saldare Calabria e Sicilia. Manifesta entusiasmo Forza Italia, e ci mancherebbe altro, esulta Cuffaro, si proprio lui, l’ex governatore siciliano ed ex carcerato, si associano l’assessore al turismo in carica (“75 euro per andata e ritorno in traghetto”, dichiara battagliero, “è uno scandalo!”) e il sindaco di Catania Enzo Bianco, ma con riserva. Un sì, strumentale, è firmato da Cisl e Uil, allettati dalla promessa renziana di centomila nuovi posti di lavoro e c’è l’ok di Crocetta, presidente della giunta regionale di Sicilia (“Nessuna opposizione se ci sono i soldi”). Contro si schierano il Movimento di Grillo (“La vera grande opera sarebbe la normalità”), il sindaco di Palermo Leonluca Orlando (“Progetto anacronistico”).  S’infuria  Frenato Accorinti, sindaco di Messina eletto con la lista “No al ponte”. Ricorda di aver incontrato Renzi di recente, che il premier si era dichiarato contrario al Ponte, che la priorità è l’allarmante deficit di infrastrutture.

Accorinti manifesta la coriaca sicurezza che il ponte non  si farà e ricorda che un secco “no” della Raggi ha cancellato la candidatura di Roma per le Olimpiadi. Gli chiedono “E i posti di lavoro?” Risponde con un eloquente “Con i posti di lavoro ci hanno rotto i co…i. Quella sparata da Renzi è una battuta, forse ci prende in giro”.  Ma chi è il cavaliere senza paura che osa sfidare il  presidente del consiglio e segretario Pd?

Sintetizzare l’identikit è missione impossibile. Renato Accorinti è un attivista, politico, docente e tecnico della Federazione Italiana di atletica leggera, sindaco di Messina eletto nel giugno del 2013, presidente della città metropolitana di Messina dal 10 giugno 2016, ma cavarsela così non gli rende giustizia. Fondatore dei Movimenti “No al Ponte” e  “Non violento messinese” ha difeso i diritti civili, l’ambiente, si è impegnato nella lotta alle mafie. Si colloca nella società degli adepti di ruoli desueti, rintracciabili in parte nel radicalismo, in parte nella sinistra antagonista e ancora nel manipolo di anomali combattenti di impossibile catalogazione, di uomini e donne che assumono su di sé il carico di operatività contro le storture della società. Chi ne conosce la determinazione sa anche di dure battaglie contro le guerre, a favore  del divorzio assistito, contro l’aborto clandestino, che condanna come atto di violenza sulle donne, contro il coinvolgimento militare dell’Italia negli scenari di guerra del Medio Oriente e ogni forma di rapina del territorio. Gli eventi che raccontano di questo “pacifista combattivo” riempiono pagine e pagine  di una vita da radicale o, come qualcuno ritiene, da rivoluzionario. Chi la pensa all’Accorinti esplicita il no al ponte esibendo i dati drammatici delle emergenze, le priorità che giustificano lo stop all’opera faraonica, anche a costo di pagare le penali previste in caso di rinuncia alla realizzazione. L’elenco, sicuramente parziale enumera i deficit del Paese. E allora lo stato della rete ferroviaria del sud (in Sicilia da terzo mondo), l’insulto al Sud di treni vecchi, molti ancora a gasolio, il pericolo del binario unico su un numero scandaloso di tratte, la voragine delle infrastrutture fatiscenti (strade, ponti, viadotti), il dissesto idrogeologico, conseguenza delle alluvioni (purtroppo sempre più frequenti), la mancata prevenzione antisismica, lo stato degli edifici pubblici (insicurezza di migliaia di scuole), il gap con il Nord che punisce il Sud, l’emergenza degli asili nido comunali, infinitamente pochi, l’assistenza agli anziani, l’impegno insufficiente per le energie alternative, lo smaltimento dei rifiuti, la bonifica dei terreni inquinati, lacune e irrazionalità del sistema portuale (solo un esempio: il porto di Napoli è costretto a respingere molti attracchi di grandi  navi per mancanza di profondità dei fondali), la crescente povertà, l’inadeguatezza dei centri di accoglienza per migranti, l’assenza di impianti sportivi per le collettività, il buco nero del problema casa, i limiti dell’incentivazione per la ricerca e l’innovazione…

Insomma chi è Accorinti. Dovessi trasferire in pittura la sua militanza eco-ambientalista, aggiornerei la mitica immagine di Don Chisciotte della Mancia. Lo ritrarrei in groppa a un destriero di razza, bianco come la neve, la folta criniera al vento, al galoppo, la lancia puntata contro la base del Ponte che si sgretola sotto i colpi dell’arma capace di ferire a morte il cemento. Sui resti del “mostro” vedrei comparire la scritta a caratteri cubitali “No al Ponte”. Temo che il risveglio sia brusco e deludente. Il combattente di tante battaglie civili deve vedersela con un esercito di conformisti e promoter elettorali che mettono sull’amo del referendum  l’esca del Ponte, dei centomila posti di lavoro (e meno male, Berlusconi, al rialzo ne promise un milione): lotta impari, come la guerra del personaggio di Cervantes contro i mulini a vento.

Luciano Scateni