Politica ed Etica. La Bindi invita a i partiti a rifiutare i voti inquinati, ma le sue sono parole al vento

“Il rapporto mafia-politica nasce e si sviluppa soprattutto al livello locale. Quindi i 1.400 Comuni che vanno al voto rappresentano un’occasione di grande attenzione da parte delle mafie. E’ perciò necessario che la politica rifiuti i voti inquinati ed eviti di avere in lista persone che possano essere vettori di questi voti”.In calce l’autografo della presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi.

Un monito all’indomani della presentazione delle liste. E all’indomani della scoperta che a Napoli Denis Verdini ha candidato al Comune e a una Municipalità il figlio e il nipote di un noto boss del quartiere Soccavo-Pianura, una delle aree della città a più alto tasso malavitoso. Dopo il caso dell’ex presidente regionale campano del Pd Stefano Graziano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa (avrebbe assicurato affari ai Casalesi in cambio di voti) ecco dunque ora esplodere – ancora una volta in Campania – il caso della camorra di Soccavo e Pianura pronta a votare e a far votare il figlio e il nipote di un boss. Inutile dire che all’origine degli inquinamenti c’è anche la complicità dell’intera classe dirigente politica compatta nel respingere la proposta di Daspo (divieto di partecipazione ad elezioni per condannati e rinviati a giudizio) insistentemente proposta dal M5s. Sconcerta rilevare che, nonostante le mimetizzazioni, la girandola di nuove sigle, i lifting più o meno credibili, i coinvolti nel mix mafia-politica abbiano in Campania radice comune, quella democristiana, E’ il caso di Graziano, cresciuto alla scuola di Ciriaco De Mita prima e di Marco Follini poi; è il caso di Verdini, una vita all’ombra dello scudocrociato e oggi ispiratore a sostegno della candidata del Pd Valeria Valente della lista Ala per il Comune di Napoli. Una lista zeppa di ex cosentiniani (gli stessi che sostennero il governatore Vincenzo De Luca) e impreziosita – come detto – dalla presenza del figlio del boss. A questo punto qualche male informato potrebbe chiedere: e Raffaele Cantone, il presidente dell’Anticorruzione, che fa? Non fa niente perché non può fare niente. Cantone è una diga tecnica al malaffare e la sua azione è limitata al controllo della trasparenza degli appalti. I controlli etico-politici spettano ai partiti e ai rispettivi capi. E quando questi controlli si eseguono distrattamente finisce che prima o poi arrivano i carabinieri su mandato dei giudici. E si ripeteil copione: la Casta preferisce processare i magistrati anziché chiedere scusa per avere ammesso al proprio interno personaggi poco raccomandabili. Avviene quando il malaffare è  ammesso a Palazzo…

Marino Marquardt