Politica e Giustizia. Pd, la casa brucia e il 5 giugno diventa un incubo

E poi se la prendono con Davigo… “Embè… e già!”, direbbe Celestino Sciosciammocca, l’essenziale macchietta scarpettiana fulcro di numerose farse. Embè… e già! Perché cosa ci possono fare i magistrati come il neo presidente dell’Anm se etica, morale e legalità sono fastidiosi elementi borderline per molti politici? Cosa ci possono fare Piercamillo Davigo, Franco Roberti e Nicola Gratteri se il Pd  rivela giorno dopo legami inquietanti? Cosa ci possono fare i giudici se il Segretario del Pd nonché premier è perseguitato dagli incubi delle pentole che  bollono nei tribunali di Genova (inchiesta sulla presunta bancarotta di Tiziano Renzi) di Arezzo (crack di Banca Etruria) di Roma (rapporti di papà Boschi con uno storico incappucciato) di Potenza (le chiacchiere di Gemelli – ex fidanzato del ministro Guidi – sull’aeroporto di Firenze), nella Procura di Santa Maria Capua Vetere (le poco raccomandabili frequentazioni del presidente campano del Pd Graziano)? Cosa ci possono fare i magistrati se nel Pd sta venendo a galla tutto il marcio dell’era napolitaniana, terreno di coltura di inquietanti intrecci e incroci? Già, Giorgio Napolitano, tre premier nominati senza il volere degli elettori. Da 63 anni sbarca il lunario con i soldi dei contribuenti italiani. Fulgido esempio di “comunista” reale… Raccapricciante. Emblematico il contrasto di Giorgio Napolitano con Enrico Berlinguer sulla questione morale. Correva l’anno 1981. Per il futuro Capo dello Stato la materia ha costituito da sempre uno scomodo fardello. Accadde quando Berlinguer ripropose la “diversità” comunista, non più in nome del leninismo (centralismo democratico e internazionalismo proletario) ma in nome della “questione morale”. Fu questo il periodo in cui crebbe il contrasto tra Napolitano e Berlinguer. Detto ciò, tolta un po’ di polvere alla storia degli ultimi anni del Pci, il quadro che offrono oggi i discendenti del vecchio Pci e della vecchia Dc cofondatori del Pd è dei più deteriori. Altro che Psi craxiano, qui siamo di fronte ad attacchi alla diligenza e alla decenza compiuti da avventurieri senza scrupoli appartenenti alla stessa banda. Una sorta di cooperativa dai oco nobili scopi questo Pd in cui il Segretario tace, non dà la linea, e si affida alle dichiarazioni banali, di circostanza, dei suoi scagnozzi. Bocca cucita anche sull’ultimo caso. Una bruttissima storia. Gomorra in affari con un responsabile piddino campano di spicco, pesante l’accusa. In questo contesto indignano gli squallidi cori antigrillini dei Grandi Complici mediatici – Eugenio Scalfari in primis – e dei Grandi Servi del Palazzo (Andrea Romano, Gennaro Migliore, Maria Teresa Meli, Fabrizio Rondolino, Claudio Velardi, tanto per fare qualche nome). Dunque la casa brucia. E le ceneri si raccoglieranno il 5 giugno, giorno delle elezioni amministrative. Già perché le intercettazioni dei camorristi che inchiodano il presidente del Pd campano ed ex consulente di Matteo Renzi, Stefano Graziano, alle proprie responsabilità hanno di fatto messo fine alla corsa di Valeria Valente verso Palazzo San Giacomo. Vincerà Luigi de Magistris per dispersione degli avversari. Fuori corsa a questo punto rischia di finire anche Roberto Giachetti a Roma nonostante l’indefesso lavoro del portatore d’acqua e di borraccia Silvio Berlusconi. E crepe si apriranno anche a Milano e a Torino dove i candidati del Pd, Beppe Sala e Piero Fassino, godono ancora di leggeri favori del pronostico. Ovvio che, alla luce di quanto sta accadendo Antonio Bassolino debba ringraziare i suoi nemici i quali, attraverso i “brogli” alle primarie a favore della Valente, lo hanno tenuto lontano da un bell’impiccio. Quando si dice la buona stella anche nelle avversità… Inutile dire che, in questo contesto, il divenire per Matteuccio è sempre più un incubo. Sì, c’è del marcio nel Pd. E Shakespeare non c’entra…

Marino Marquadt