Politica e Giustizia. Il caso Davigo e le complicità tra informazione e potere

Leggo quotidianamente molti giornali e seguo molti telenotiziari. Per lavoro e non per fede verso le linee editoriali che essi esprimono. La mia bulimia informativa non è prodotta da fame di “verità” giornalistiche, ma dal bisogno di crearmi una opinione personale sui fatti del Paese attraverso la sintesi e l’analisi di queste “testimonianze” cartacee, digitali o satellitari. “Testimonianze” peraltro non sempre attendibili. Come le disgraziate oche produttrici di foie gras costrette ad alimentazione forzata, molti di noi quotidianamente vengono ingozzati con notizie orientate e commenti prevalentemente ad usum delphini. Ma il rimedio antiomologazione c’è. Tutto sta nel sapere vomitare le informazioni una volta accertatane la tossicità dopo averle mentalmente ingerite. Un “paraustiello” (ragionamento, metafora, argomentazione per i non napoletani) per dire che in materia di informazione il nostro è uno strano Paese. Un Paese nel quale i giornali di regime – la cosiddetta “grande stampa” – sono tutti uguali (per ovvii motivi si distinguono l’un l’altro soltanto nelle pagine di cronaca locale e in quelle dello sport) e quelli alternativi a carattere nazionale non sono più di quattro: Il Fatto quotidiano, Libero, Il Giornale, Il Manifesto. All’interno della stampa alternativa, si registra un’altra anomalia: polverizzatosi il Centrodestra berlusconiano e mimetizzatisi in renziani molti suoi interpreti (impresa semplice, in fondo renzismo e berlusconismo sono facce della stessa medaglia), sono rimasti soltanto i giornalisti di Libero e del Giornale a tenere alta la bandiera berlusconiana prossima all’ammainamento. Esempio lampante in questo caso di giornalisti che surrogano i politici, di giornalisti che inseguono i fantasmi del passato. La lunga premessa per dire che trovo ignobili gli attacchi e le critiche a Piercamillo Davigo, uno dei pochi che ancora ha l’ardire di parlare di etica e pubblica moralità, vocaboli scomparsi dal linguaggio politico e della informazione. Uno scandalo! I soli titoli e i commenti delle prezzolate “grandi firme” bastano per dare una idea del degrado morale e del conformismo servile della stampa da salotto. Roba per ricchi borghesi e non certo per la vasta fascia di indignati e di incazzati che vivono nel nostro Paese. Penne addomesticate da piume, praline, pasticcini e bigné ad uso di salotti decadenti improntati alla difesa di piccoli e grandi egoismi, di piccoli e grandi privilegi, di piccoli e grandi peccati. Davigo va sostenuto dalla parte sana del Paese. E da ciò che resta della informazione sana. Il presidente dell’Anm ha dato uno scossone alla coscienza collettiva rassegnata o narcotizzata. E’ vero ciò che ha affermato il giudice nel mirino dei “garantisti” cazz’ e cucchiara con i lestofanti (per i non napoletani: la cazza è il contenitore nel quale il muratore abitualmente ripone la cucchiara, ovvero la cazzuola). “I politici – ha detto – non hanno smesso di rubare. Hanno smesso di vergognarsi”. Ed è giusta la riflessione di Beppe Grillo: “Davigo non è contro il governo, è contro i corrotti… Se le cose coincidono la colpa non è di Davigo. Il bombaminkia di Rignano che forse non ha mai aperto un libro di storia – aggiunge il leader pentastellato – ha reagito con un originalissimo “Davigo chi?”, ignorando il fatto che Davigo facesse parte del pool di Mani Pulite quando lui era noto solo per essere un boyscout che le sparava grosse”. Già, un boy scout che le sparava grosse… Un vizio di gioventù che il tempo non gli ha cancellato.

Marino Marquardt