Messico, i giornalisti cadono sotto i colpi dei narcokiller: l’uccisione di Miroslava Breach sconvolge il Paese

Messico non solo nuvole, ma anche morte e sangue. La mattanza continua. La guerra della droga, fra i cartelli e fra lo Stato (si da per dire, sic!) e i cartelli, continua a mietere vittime senza sosta. L’ultima di cui si abbia notizia è Miroslava Breach – giornalista di 54 anni, reporter del quotidiano La Jornada, abbattuta senza pietà a Chihuahua il 23 scorso, nel quartiere di Las Granjas,. La scena sembra uscita dalle pagine dei romanzi di Don Winslow: Miroslava Breach è a bordo della sua auto, a fianco il figlio preso da scuola. A un incrocio si avvicina una seconda vettura, scende un uomo, giubbotto verde scuro, un cappellino blu, una borsa. Compie pochi passi e apre il fuoco: otto colpi di calibro 9 spengono la sua vita.

Questa volta la morte non è arrivata all’improvviso. La donna era nel mirino dei gangster da mesi a causa delle sue inchieste. Sembra acclarato che l’agguato sia stato ordinato da Carlos Arturo Quintana, detto «El 80», un criminale che è anche sulla lista dei ricercati dagli Usa, responsabile de La Linea, braccio armato del cartello di Juarez. Il sospetto è nato da una «cartulina» ritrovata dalla polizia, di fatto una rivendicazione firmata dal boss. Ma potrebbe anche trattarsi di una falsa pista. Comunque, al di là delle ipotesi e degli indizi costruiti ad arte, parlano i fatti. Miroslava stava seguendo diversi filoni investigativi: riciclaggio, pozzi d’acqua illegali, infiltrazioni delle gang nei municipi, patti tra partiti e organizzazioni di trafficanti.

L’omicidio della cronista è per noi un tragico evento, ma per il Messico una consueta realtà fatta di violenza e di terrore. Considerando soltanto la categoria dei giornalisti, ad esempio, dal 2000 a oggi ne sono stati ammazzati 120, con un tasso d’impunità per i killer pari al 99,75%. Questo mese i sicari hanno fatto fuori Cecilio Birto, stato di Guerrero, e Ricardo Cabrera, nell’inferno di Veracruz. I metodi usati per uccidere sono agghiaccianti. Molti vengono sotterrati in fosse comuni o sciolti nell’acido. Altri, invece, vengono lasciati nei sacchi dell’immondizia e nelle ghiacciaie, dopo essere stati depezzati. Recentemente, a seguito del parziale smantellamento dei network criminali, il gioco al massacro del “tutti contro tutti ha ripreso vigore. La cattura del Chapo, oggi in carcere negli Usa, ha determinato una feroce faida all’interno del cartello di Sinaloa, finora egemone. Chi tenta di capire cosa stia accadendo e come si vada riconfigurando il potere della narcocrazia messicana, come ha tentato di fare Miroslava Breach, ci lascia la pelle.

Aldo Musci