L’Ora della Storia. La strage di Bronte e le false promesse di Garibaldi

A sessant’anni e coi capelli bianchi ci si arrende all’idea che è così che va il mondo. Averlo fatto prima avrebbe giovato alle coronarie ma, come si dice, meglio tardi che mai. Le carte panamensi sono come cartine al tornasole, quelle che cambiano colore immerse in un composto. Hai la prova che i buoni non sono poi così buoni e che naturalmente i cattivi sono cattivi. Se mi volto indietro e guardo quanti si sono illusi di cambiare il mondo vedo una lunga fila dietro di me. I seguaci dei Gracchi, i primi cristiani, qualche eretico millenarista, carbonari e garibaldini e poi su su fino a partigiani e hippies californiani. E’ così che va il mondo e, bisogna dirlo, fanno di tutto per farcelo capire. Chi non capisce non vuole capire.

Chi non l’aveva capito erano, per esempio, i contadini di Bronte che avevano creduto vera la propaganda garibaldina che prometteva di dare la terra ai contadini. Perché la vera libertà che i contadini siciliani volevano era la libertà di vivere più dignitosamente e non sfruttati dai latifondisti.

A dispetto della propaganda e della vulgata risorgimentale non erano molti i “picciotti” che si erano arruolati con i Mille, come dovrà riconoscere lo stesso Bixio nel suo discorso in Parlamento il 9 dicembre del 1863. La promessa di dividere i latifondi poteva essere un utile stimolo.

E infatti, prendendo sul serio le promesse di Garibaldi, i contadini occuparono terre e latifondi demaniali in molti paesi del messinese. Rivolte naturalmente represse ma fu a Bronte che la forza fu usata in tutta la sua brutalità. E la repressione fu affidata ad un uomo di polso, determinato a stroncarla: Nino Bixio, il braccio destro del Generalissimo, che considerava i contadini meridionali alla stregua di “scimmie ed ottentotti” come ebbe a dire più volte.

Vedendo che l’avanzata di Garibaldi in Sicilia non trovava ostacoli i contadini di Bronte si illusero che fosse giunto il momento di passare dalle parole ai fatti. Terre occupate, signori cacciati dai propri feudi e sedici morti. Ma quel che è peggio è che gran parte di quelle terre appartenevano a cittadini inglesi ed il console Goodwin tempestò di lettere Garibaldi in persona perché intervenisse duramente.

Non va dimenticato che gli inglesi erano stati finanziatori e sponsor politici dell’impresa dei Mille e quindi ora si aspettavano un certo ritorno in termini di legge e ordine e tutela degli interessi britannici.

Il 6 agosto del 1860 Bixio arriva a Bronte alla testa di due battaglioni di bersaglieri. Gli insorti più violenti erano fuggiti e si erano dati alla macchia. Bixio comunque occupa il paese e decreta lo stato d’assedio. Chiede la consegna dei colpevoli e di tutte le armi. Ma non basta. Bisognava dimostrare che si faceva sul serio.

Fu istituita una commissione ed inscenata una sorta di processo. Senza alcun diritto alla difesa in quattro ore si concluse tutto. Agli imputati, presi a caso o denunciati per vecchi rancori, fu chiesto di mettere per scritto le loro ragioni a discolpa. Erano quasi tutti analfabeti.

Alle otto della sera erano state emesse cinque condanne a morte. Tra gli altri furono condannati l’avvocato Nicolò Lombardo, colpevole di aver anteposto gli interessi del comune a quelli degli inglesi e lo scemo del paese.

“Sono innocente come Cristo!” urlò l’avvocato mentre lo fucilavano. Lo scemo del villaggio era ancora vivo e lo finì un ufficiale con un colpo di rivoltella. I corpi dei giustiziati furono lasciati a lungo sulla piazza perché servisse da monito.

A questo processo sommario ne seguì un altro in Corte d’assise a Catania che si concluse con trentasette condanne di cui venticinque ergastoli.

Nino Bixio stese un proclama che fu appeso per le vie del paese, in esso si chiedeva alle autorità locali di tenere a freno i loro amministrati affinché non si mettessero in testa strane idee. Giustizia era stata fatta e l’ordine ristabilito. Latifondisti e baroni erano rassicurati, Anche Garibaldi era dei loro. Ogni rivolta sociale sarebbe stata duramente punita. Si cambiava tutto per non cambiare nulla come dirà più tardi il principe di Salina, protagonista del Gattopardo.

Su quest’episodio fu fatto un interessante film da Florestano Vancini negli anni settanta, interessante anche se non privo dei limiti ideologici della cinematografia italiana di quegli anni.

Per chi volesse approfondire l’argomento segnalo come sempre un testo: Controstoria dell’unità d’Italia (fatti e misfatti del Risorgimento) a cura di Gigi di Fiore.

Gianvittorio Musante