Le inchieste de loralegale.eu: scomparsa e morte di Sebastian Casula

In questa bollente estate che sta per concludersi, ancora una volta la Sardegna presta il suo scenario per un’ennesima, misteriosa vicenda di cronaca.

La mattina dell’11 luglio scompare da Carbonia (nella foto), provincia di Cagliari, Sebastian Casula di 39 anni; si attivano immediatamente le ricerche in tutto il territorio, ma nei giorni del ferragosto il triste epilogo: il corpo del giovane operaio verrà ritrovato in una boscaglia appeso ad un albero.

A scoprire il cadavere impiccato ad un ramo non molto alto di un frondoso pino sono stati tre volontari del Radio Ser, Associazione di Protezione Civile Antincendio.

Il corpo senza vita aveva un paio di scarpe da tennis bianche, calzoni da sport rossi ed un cappellino blu, mentre appoggiata sulla sua bicicletta c’era una maglietta rossa; indumenti ed oggetti che stando ai familiari, il giovane potrebbe aver indossato al momento della scomparsa.

Ma la posizione del corpo ed altri elementi hanno indotto gli inquirenti a necessari approfondimenti.

Infatti sin dai primi accertamenti, condotti dai Carabinieri di Carbonia, molti sono stati i dubbi e gli interrogativi legittimi: Sebastian Casula è giunto sin li da solo – visto che  a pochi metri dal corpo c’era la sua bicicletta bianca – oppure con altre persone?

La famiglia Casula nomina immediatamente due legali per seguire gli accertamenti legati alla morte di Sebastian; a ricevere il mandato sono gli avvocati Gianfranco Piscitelli ed Ester Deplano.

Sulla salma sotto sequestro viene immediatamente disposta l’autopsia dalla Procura di Cagliari; a conclusione dell’esame autoptico, eseguito dal medico legale Roberto Demontis, che depositerà la propria relazione a 90 giorni, si inizia ad indagare per omicidio.

L’avvocato Piscitelli spiega: “Autopsia lunga e difficoltosa, si cercano conferme che escludono la volontarietà del gesto. Sequestrati cellulare, scarpe, bicicletta e maglietta, ora al vaglio degli specialisti del RIS anche al fine di accertare se sia giunto di sua volontà in quel luogo impervio tra la fitta vegetazione boschiva …”.

Tanti sono i tasselli mancanti nel giallo di Carbonia.

Per dovere di cronaca e per l’assoluta trasparenza dell’informazione, non si può non considerare che il nome di Sebastian Casula riporta alla memoria vicende vecchie di 17 anni.

Facciamo un passo indietro: nell’ottobre del 2000 venivano arrestati nel cagliaritano, Oliviero Mocci di 28 anni – già condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione come esecutore di una serie di attentati incendiari -, Alessio Arcieri di 19 anni, Angelo Carboni di 34 anni e Sebastian Casula di 22, con l’accusa di essere i componenti  della “banda degli incappucciati”, responsabile di una serie di rapine ai danni di persone sole ed indifese  e di furti di auto su commissione,  fra il gennaio e l’aprile di quell’anno.

Le indagini erano iniziate subito dopo i primi episodi che avevano visto gli anziani bersaglio della banda; ma quando una delle vittime fu minacciata telefonicamente da uno dei componenti, le attività investigative vennero intensificate e si arrivò a scoprire l’identità degli incappucciati.

Gli inquirenti si avvalsero anche di tecnologie avanzate di intercettazione ambientale attraverso le quali venne dimostrata la responsabilità dei quattro componenti.

Il processo a carico degli “incappucciati”, celebrato con il rito abbreviato, ha avuto inizio nella primavera del 2001; secondo l’accusa la banda avrebbe commesso almeno quattro rapine, le cui vittime erano sempre anziani che venivano sorpresi nel sonno. Il gruppo agiva alle prime luci dell’alba, con il viso coperto da un rudimentale passamontagna ricavato dalla manica di un maglione in cui erano stati praticati fori agli occhi.

Il loro bottino era quasi sempre misero, essendo costituito generalmente dai risparmi dei pensionati raccolti frettolosamente nei cassetti.

Purtroppo il furto era puntualmente accompagnato da episodi di violenza nei confronti dei malcapitati, che venivano percossi, imbavagliati  e legati.

A conclusione delle requisitorie furono contestate solo due rapine delle quattro ipotizzate inizialmente, tuttavia dure furono le condanne: sei anni e mezzo per Oliviero Mocci, quattro anni e otto mesi per Angelo Carboni, quattro anni e un mese per Sebastian Casula e quattro anni per Alessio Arceri.

La condanna più severa fu nei confronti di Oliviero Mocci, ritenuto l’ideatore ed il principale  esecutore delle aggressioni; tale condanna però non produrrà efficacia  deterrente, né scalfirà la volontà delinquenziale di Mocci, dal momento che il suo nome è ricomparso qualche anno fa nuovamente sulle pagine della cronaca locale.

Infatti nella notte di ferragosto 2016 i Carabinieri della stazione di Carbonia di concerto con militari operanti dell’Aliquota Radiomobile arrestavano nella quasi flagranza di danneggiamento a seguito di incendio, il pluripregiudicato Mocci Oliviero

Lo stesso alle 01.16, utilizzando un innesco  per accensione (diavolina), dava fuoco, senza alcun motivo, all’autovettura di  un pensionato di Carbonia, che era parcheggiata regolarmente nella pubblica via, nei pressi dell’abitazione dell’uomo.

L’Intera azione criminosa è stata ripresa da alcune telecamere presenti nella zona, che venivano visionate immediatamente dai militari operanti e che permettevano di vedere tutte le fasi dell’incendio, con il reo che si allontanava in tranquillità.

I Carabinieri, che ben conoscevano Mocci Oliviero, appena visto le immagini, lo riconobbero immediatamente per i suoi trascorsi incendiari; pertanto andarono direttamente a casa sua dove veniva rintracciato (stava dormendo) e tratto in arresto.

Ritornando alla vicenda della morte del giovane Sebastian Casula, gli inquirenti si stanno muovendo senza tralasciare alcun elemento, come dimostra l’immediato sequestro di quanto riscontrato sul luogo del ritrovamento.

Con l’assoluta fiducia che si arrivi alla verità sulla fine di Sebastian, facendo piena luce sui tanti tasselli mancanti, sorge spontaneo chiedersi se ci siano state anche delle responsabilità indirette; personalmente ritengo che il non comunicare, l’etichettare, il non parlare, il non denunciare, il non riferire per non essere coinvolti, RENDE LE COSCIENZE COMPLICI DEI RESPONSABILI.

Carla Santoro