Il cuore nero del potere: la Roma di Carminati raccontata da Lirio Abbate nel suo ultimo libro

In Italia, il cuore nero del potere è schermato da una fitta corazza riverniciata di democrazia che chiamano “Stato di diritto”. Una corazza che, tuttavia, presenta numerose fenditure attraverso le quali si può intravedere il lato oscuro della Repubblica. In altre parole, una lunga teoria di eventi delittuosi che hanno costellato la vita nazionale dal dopoguerra ai giorni nostri, marcandone svolte, punti di rottura, mutamenti nell’assetto politico-istituzionale, nel costume sociale e nell’immaginario collettivo.

Uno di questi eventi criminosi ha segnato una stagione chiave per la città di Roma e, a cascata, per l’intero Paese: il furto presso il caveau della banca sita all’interno del Tribunale di Roma, a piazzale Clodio. L’operazione, svolta il 17 luglio 1999, coinvolge un commando di “cassettari” guidati da Massimo Carminati, detto il Cecato per aver perso un occhio a seguito di un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine. Complici i carabinieri di guardia alla città giudiziaria, i banditi entrano di notte nella sala blindata e svuotano 147 cassette di sicurezza su 900 esistenti. Perché così poche, avendo a disposizione tutta la notte? L’enigma sta tutto qui. Il bottino è ritenuto modesto dagli stessi scassinatori (Gnappa, il Mago delle vedove, il Mostro, il Prete, Mollica, Sbirulino e il Cassiere). Forse, il denaro e i preziosi non sono l’obiettivo principale del furto. Forse, il fine è un altro: documenti scottanti sui principali misteri e scandali del Paese. Ecco perché è sceso in campo il famigerato Cecato, alias Massimo Carminati, terrorista nero dai travagliati trascorsi e dai molteplici legami con non precisati ambienti altolocati (politici, servizi, ecc.) e malavitosi (Banda della Magliana). Non a caso, il Cecato in quel periodo è sotto processo come killer di Mino Pecorelli presso il tribunale di Perugia insieme a Giulio Andreotti e Claudio Vitalone, in qualità di mandanti.

La vicenda è torbida, complicata e misteriosa. Non crediamo di aver esagerato con gli aggettivi. Lo si capisce leggendo l’ultimo libro-inchiesta di Lirio Abbate “La lista” (Rizzoli, 2017) che ne indaga e ricostruisce tutti i risvolti, i retroscena e gli aspetti più oscuri. Dalle pagine suggestive del libro emergono via via incongruenze e sospetti sui reali mandanti della rapina. Non è certa, ad esempio, neppure l’entità esatta del denaro sottratto. Ufficialmente, si tratta di 18 miliardi. Altri, informati sui fatti, parlano addirittura di 50 miliardi. Ma la vera refurtiva erano i documenti riservati custoditi nelle cassette, appartenute a magistrati, avvocati, politici, militari e notabili di varia estrazione e indicate in una lista ad hoc che “qualcuno molto in alto” avrebbe fornito a Carminati per acquisire una formidabile arma di ricatto. Dunque, un furto su ordinazione con un movente ben circoscritto. Illazioni, dietrologia, teoremi ideologici? Non sembrerebbe questo l’orientamento che sovrintende l’inchiesta di Abbate, ben costruita e documentata, bensì un difficile percorso per la ricerca della verità. Fatto sta che dopo quell’evento il Cecato assurge definitivamente a boss di prima grandezza, leader incontrastato di Mafia Capitale, impunito e inossidabile. Anche ora dopo l’ultimo arresto. Basta ascoltare le sfrontate dichiarazioni rese in tribunale per rendersi conto che il ricatto alla Repubblica è un’ipotesi fondata e concreta.

Aldo Musci