Hater, il lato oscuro del web

L’enciclopedia Treccani definisce i social network come “un servizio informatico on line che permette la realizzazione di reti sociali virtuali. […]”

Cosa succede però quando questa rete sociale virtuale viene intaccata da commenti ed interazioni ben poco dignitose?

Qui entrano in campo gli hater, utenti che riversano sul web disprezzo, aggressività e violenza verbale verso altri utenti che creano contenuti o che semplicemente si limitano ad esporre le proprie opinioni su alcuni argomenti.

Queste figure però non nascono con i social network perché le azioni che compiamo nella realtà “offline” sin da sempre vengono giudicate: il web funge solo da una grande cassa di risonanza che fa arrivare la critica ben oltre il nostro cerchio di conoscenze.

La “professione hater” non conosce confini sul web: sono attaccati post riguardanti tutti gli argomenti, senza esclusione di colpi bassi nemmeno per tematiche delicate che, forse, meriterebbero un rispetto maggiore. Le vittime più colpite sono le donne, ma ad entrare nel mirino degli hater sono anche omosessuali, migranti e diversamente abili.

In difesa di quest’ultima categoria, qualche mese fa Bebe Vio, campionessa paraolimpica divenuta famosa per la sua grande autoironia circa la sua disabilità, nel programma in onda su Sky “E poi c’è Cattelan”, ha lanciato insieme al conduttore una campagna ironica contro gli haters “Aiuta un hater, dona un Neurone”

È però necessario fare delle differenze: questo non significa che chiunque abbia qualcosa di diverso da dire e lo palesa con un commento sotto un post su Facebook debba essere classificato come hater, anzi.

Tutti dobbiamo avere il diritto di replicare con idee, anche diametralmente opposte, a post scritti da altri utenti altrimenti si genererebbe l’effetto contrario: se classificassimo tutti i contestatori sul web come haters, si limiterebbe il diritto posto in essere dal web, dove chiunque può dare la sua visione dell’argomento in modo libero.

Giovanni Ziccardi, professore di Informatica Giuridica alla Statale di Milano, nel suo libro “L’odio online”, parte da una distinzione: «da una parte c’è l’hate speech, originato da cose importanti come razza, religione e credo politico, dall’altra c’è quello che io chiamo odio interpersonale, scaturito, invece, da cose banali, come per esempio l’elezione di Miss Italia o l’Oscar a Di Caprio.”.

Quando si tratta di Personaggi famosi infatti si parla di “odio aggregato”, lo stesso odio che provano i fan quando si scagliano contro un nemico comune che prende di mira il loro beniamino.

Gli hater hanno un compito molto facile, perché è sempre più semplice distruggere qualcosa anziché crearlo, contribuendo così a fare del web un luogo ben poco ospitale, dove la libertà di esprimere le proprie opinioni si trasforma in paura di essere giudicati.

In risposta a questo tipo di utenti è sempre bene rimanere lucidi e non cadere nella trappola che vuole mettervi allo stesso livello di chi vi sta insultando.

Intervenire giuridicamente su questo tipo di violenze online non è semplice poiché è complesso definire la linea molto sottile tra utenti che trasformano in odio e violenza i loro commenti sul web senza critiche costruttive o in grado di creare un dialogo, ed utenti che si limitano ad esprimere idee diverse.

Quindi, visto che il fenomeno haters negli ultimi anni ha visto alimentare la cronaca nera, forse il miglior modo di intervenire è quello di prevenire, partendo dall’educazione sull’uso del web nelle scuole, evitando così la formazione di altri “leoni da tastiera”.

Simone Rufino