Centrosinistra sì o no, un dilemma poco shakespeariano: la nota di Aldo Garzia

L’interrogativo si aggira nei dintorni della sinistra: bisogna ricostruire un’alleanza larga di centrosinistra che sia in grado di porsi il tema del governo? Ne discute il Pd, dove la “vocazione maggioritaria” di veltroniana memoria è alle corde dopo l’esito del referendum costituzionale che ha premiato il No, ne dibatte Sinistra italiana fino al punto di dividersi prima ancora di muovere i primi passi. Ne fa invece un punto dirimente, rispondendo affermativamente, il Campo progressista lanciato da Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano.

Con il ritorno a una legge prevalentemente proporzionale, il Pd può solo sognare di prendere da solo il 40 per cento come avvenne alle elezioni europee. Ecco così che si è iniziato a parlare da quelle parti di un “nuovo Ulivo”, di una alleanza elettorale che possa andare dal centro (Casini, Alfano & company) fino almeno a Pisapia. L’ipotesi è stata già adombrata dai leader delle tante correnti (Bersani, Cuperlo, Orlando, eccetera) fino a prevedere per D’Alema – in caso di scissione piddina – comunque una alleanza elettorale tra chi va via e chi resta. Ipotesi quest’ultima a cui ha replicato minacciosamente Fassino, tornato in segreteria dopo la bocciatura da sindaco da Torino e noto per perdere facilmente le staffe: chi rompe, si scordi una alleanza con i Dem. Questo confronto per ora confuso rende però ancora più vulnerabile la leadership di Renzi: il suo schema di gioco non puntava a riedizioni di centrosinistra, meno che mai a una alleanza con una sinistra più o meno radicale, bensì a un Pd autosufficiente con qualche satellite ininfluente.

In Sinistra italiana a conduzione Fratoianni/Vendola prevale (per ora) la negazione del problema posto dalle minoranze Pd e da Pisapia: i Dem sarebbero irrecuperabili a una comune prospettiva, salvo scissioni, morte politica di Renzi e del renzismo, rivoluzioni copernicane di cultura politica e di collocazione in Italia e in Europa. La minoranza che abbandona il progetto di nuovo partito (Scotto, Smeriglio, Giordano) e guarda a Pisapia è in disaccordo e teme la riedizione di un bertinottismo identitario e movimentista che può rendere residuale e isolata questa componente della sinistra.

Quindi, centrosinistra da ricostruire sì o no? Attenzione, il rebus non è solo italiano. A Berlino si pone per i socialdemocratici dati in ripresa nelle prossime elezioni politiche e per la Linke. Se si vuole evitare che si riproduca una unità nazionale a guida Merkel, bisogna che le due sinistre tedesche, con i Verdi, si parlino e collaborino: non c’è alternativa. Stesso refrain si pone in Spagna tra i socialisti del Psoe, a rischio scissione per la astensione sul governo Rajoy, e Podemos che ha celebrato di recente il suo congresso.

Insomma, non si scappa da un dilemma questo sì shakespeariano: si vuole svolgere il nobile ruolo di “fabiani” (il movimento britannico di fine Ottocento) testimoni di coerenza ed eticità, o si vuole agire e condizionare la politica? Le due sinistre, quella moderata e quella radicale, sono condannate perciò a convivere, pena la marginalità di entrambe. Competizione di valori, di interessi sociali, di egemonia e di progetti sì all’insegna di una sinistra e di un centrosinistra plurali, lotta fratricida no. Certo, non serve un ritorno puro e semplice all’Ulivo. Ci vogliono nuovi contenuti e nuove forme dello stare insieme tra diversi.

Aldo Garzia