Nelle ore in cui la pubblicazione del “dossier Orlandi”, uscito dalle Mura Vaticane, riapre fragorosamente il giallo della ragazzina scomparsa nel 1983, proponiamo l’intervento scritto per “L’ora legale” (all’indomani dell’archiviazione del caso giudiziario) da uno dei maggiori esperti della vicenda, il giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Peronaci, autore di “Mia sorella Emanuela” (con Pietro Orlandi) e de “Il Ganglio”. Il fatto che per almeno 14 anni (fino al 1997) il Vaticano abbia sostenuto spese tanto rilevanti (circa 500 milioni di lire) per la “gestione” segreta della figlia del messo pontificio, se confermato, alzerebbe il velo su un gioco di ricatti feroce all’interno della Santa Sede, figlio dei conflitti legati alla Guerra Fredda. Ma anche se, come ha subito precisato il portavoce della Santa Sede Greg Burke (“Lettera falsa e ridicola”), si trattasse di un depistaggio, la sostanza non cambia: la stagione dei veleni dentro le Mura Leonine non si può considerare chiusa. Proprio questa è la tesi di Peronaci: la natura intrinsecamente politica dei fatti e la perdurante mancanza di trasparenza, nonostante le istanze rinnovatrici di papa Bergoglio. Con questo articolo, oltre che inquadrare contesto storico e movente del sequestro di Emanuela, il giornalista-scrittore svela anche alcuni retroscena inediti dell’attentato a papa Wojtyla del 1981, che fanno ipotizzare gravi complicità da parte di ambienti ecclesiastici.
Come ben sanno le tante persone che seguono il giallo della scomparsa di Emanuela e Mirella da quel lontano 1983, negli anni 2008-2015 la tenace e coraggiosa inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo era giunta a delineare un contesto storico, un ipotetico movente e un quadro indiziario molto ricco (fondato sul combinato disposto tra ruolo avuto dalla banda della Magliana, legami tra ambienti ecclesiali e malavita e confessione-autoaccusa di Marco Accetti), tale perlomeno da meritare un serio vaglio dibattimentale. Per la prima volta dopo 33 anni le prove sulla responsabilità del rapimento (e dell’ipotizzata successiva morte) delle due quindicenni si sarebbero potute approfondire e formare in un’aula di giustizia, pubblicamente e in modo trasparente, tramite il libero contraddittorio tra le parti, come previsto da un sistema democratico.
Ebbene, tale prospettiva era troppo pericolosa, per ciò che avrebbe fatto emergere e svelato. Il sistema nel suo complesso (statuale, politico, giudiziario, mediatico), in un Paese a sovranità limitata come l’Italia, sulla quale incombe la volontà più o meno espressa Oltretevere, non ha avuto il coraggio di fare i conti con il proprio passato, l’orribile tempo delle trame e delle logge che, negli anni Ottanta del secolo scorso, fece da cornice alla scomparsa di Emanuela e Mirella.
Processare Marco Accetti e gli altri 5 indagati (monsignor Pietro Vergari, Sabrina Minardi e tre ex esponenti della malavita romana), a prescindere dall’esito sulla loro posizione individuale, avrebbe comportato la riscrittura di un pezzo ancora inesplorato di storia, legato ad alcune tra le vicende più oscure del Novecento: l’attentato a Wojtyla, l’appoggio vaticano a Solidarnosc, l’uso politico di Agca nell’ambito della Guerra Fredda, l’omicidio di Calvi, le malversazioni di Marcinkus allo Ior, il successivo provvedimento di grazia allo stesso Agca.
Prevengo subito un’obiezione: nessun complottismo, sia chiaro. Il richiamo a tali fatti tuttora nebulosi è negli atti giudiziari del sequestro Orlandi-Gregori fin dall’inizio, più di tre decenni fa, ed è stato arricchito negli ultimi tre anni dalla controversa testimonianza (sicuramente lacunosa, interessata, forse depistante, ma indubitabilmente molto informata su quanto accaduto) di Marco Accetti, del quale si è scientemente voluto ignorare la montagna di prove fornite (dalla riconsegna del flauto all’essere stato autore delle telefonate alla famiglia e al Vaticano, fino alla conoscenza di un’infinita mole di retroscena, a cominciare dalla sua frequentazione dell’istituto San Giuseppe da Merode guidato dal braccio destro di mons. Casaroli). Dalle indagini e dagli interrogatori di Capaldo sono inoltre emerse connessioni tra Accetti e personaggi legati all’attentato al Papa del 1981, il che rappresenta la parte più indicibile e inconfessabile delle sue rivelazioni, giunte non a caso subito dopo le dimissioni di papa Ratzinger. Il supertestimone lascia chiaramente intendere che ci furono complicità a livello vaticano nel ferimento del Sommo Padre: una pista basata su almeno cinque elementi indiziari da lui forniti e lasciati stranamente cadere.
Eccoli:
1) Accetti rivela che fu lui a telefonare alla pensione Isa, in Prati, per prenotare la stanza di Agca (e il proprietario all’epoca, in sede processuale, ricordò che la prenotazione fu fatta da un italiano)
2) Accetti aggiunge che il movente del sequestro di Emanuela e di Mirella (incrociando le rispettive cittadinanze per premere su Santa Sede e Italia) era indurre Agca a ritrattare le accuse ai bulgari come mandanti dell’attentato al Papa, in modo da salvaguardare il dialogo con l’Est che stava a cuore alla fazione ecclesiastica denominata “Il Ganglio”.
3) Accetti sostiene che scelse di farsi arrestare (circostanza facilmente verificabile) nel 1982, per diffondere la falsa voce in carcere che un arruolato del kgb stesse per uccidere Agca, in modo da indurre il turco a non proseguire con le accuse all’Est.
4) Accetti dice che alcuni ecclesiastici incontrarono Agca nei mesi precedenti, in particolare un prelato orientale che aveva prestato servizio in Brasile, adombrando con ciò complicità “interne” nell’attentato del maggio 1981
5) Accetti si mostra a conoscenza di un presunto accordo tra Agca e i mandanti dell’azione in piazza San Pietro volto a non colpire il papa, ma a creare panico tramite alcuni colpi di pistola esplosi in aria. L’intesa sarebbe poi stata fatta saltare all’ultimo momento dal turco che sparò al petto di Wojtyla.
E veniamo adesso al movente del doppio rapimento, così come emerso palesemente, e anch’esso lasciato cadere. I passaggi che lo chiariscono sono i seguenti:
1) Nel 1981-82, dopo l’attentato al papa polacco, esisteva una forte pressione di stampo occidentale (Usa-Vaticano, asse Reagan-Wojtyla) per “usare” Agca come “arma finale” nella lotta contro l’Est comunista (Guerra Fredda nella fase cruciale)
2) A fine 1981, in linea con tale obiettivo, Agca (in conseguenza della famosa “imbeccata” di servizi segreti occidentali) inizia ad accusare i bulgari di essere stati i mandanti dell’attentato da lui compiuto contro Wojtyla, cosi’ da indebolire i regimi comunisti agli occhi del mondo
3) In Vaticano esisteva una forte componente a favore del dialogo con l’Est (non per “simpatie” comuniste, ma per mantenere sistemi di potere consolidati), disposta anche a sporcarsi le mani nella guerra contro il nuovo papa visceralmente anti-Urss e il suo amico Marcinkus, messo a capo dello Ior. Tale conflitto si estrinsecava anche in contatti con faccendieri e elementi della massoneria
4) Il gruppo a favore del dialogo con l’Est, composto da laici ed ecclesiastici italiani, francesi e lituani, ideò il doppio sequestro. In un primo momento (fine 1981-82) furono prese di mira e fatte pedinare le figlie del comandante della gendarmeria e dell’assistente personale del pontefice.
5) A inizio 1983 la scelta ripiegò su Mirella Gregori e Emanuela Orlandi
6) Obiettivo precipuo dei due sequestri (nell’ambito del più ampio di salvaguardia del dialogo con l’Est) era far crollare la pista bulgara. Ciò spiega il fatto che AGCA sia citato fin nei primi comunicati di rivendicazione
7) La strategia ideata, molto raffinata e complessa, fu la seguente: allontanando da casa le due ragazze, si sarebbe FATTO CREDERE ad Agca che i due Stati (Vaticano e Italia) si sarebbero dati da fare, in cambio della liberazione delle ragazze, per favorire la sua SCARCERAZIONE, a una condizione: che lui ritrattasse le accuse ai funzionari bulgari
8) Le ragazze dovevano essere due proprio per dare credito alla messinscena: una cittadina vaticana, Emanuela, per la quale si sarebbe posto sotto ricatto il Vaticano; e una italiana, Mirella, per porre sotto pressione la presidenza della Repubblica, titolare del potere di grazia
9) Le ragazze sparirono nel maggio e giugno 1983. Dopo la sparizione di Mirella (7 maggio) la famiglia ebbe contatti con la presidenza della Repubblica (senza che la notizia fosse resa pubblica), e ciò dimostra la presenza di trattative sotterranee già partite. Sei giorni dopo la sparizione di Emanuela (28 giugno), Agca iniziò a ritrattare le sue accuse ai bulgari di complicità nell’attentato. Ciò dimostra la correlazione degli eventi
10) La pista bulgara, nel successivo processo contro Antonov e gli altri, non fu dimostrata e cadde. Da questo punto di vista, uno dei principali obiettivi del sequestro di Emanuela e Mirella fu raggiunto, anche se, nella partita complessiva della Guerra Fredda, fu papa Wojtyla a prevalere, conseguendo lo storico risultato del crollo del muro di Berlino.
Come si vede, altro che archiviazione!
L’esito dell’inchiesta tenace e coraggiosa del procuratore aggiunto Capaldo e il suo allontanamento improvviso e senza precedenti dimostrano senza tema di smentita che la verità (su Emanuela, Mirella, gli scandali vaticani dell’epoca e l’attentato a Wojtyla) non la si è voluta cercare. Il sistema nel suo complesso, spaventato dal filo che si sarebbe potuto dipanare a partire dalla vicenda Orlandi-Gregori, ha fatto di tutto per comprimere spazi di libertà e trasparenza. La strategia della Procura di Roma, nella persona del capo, Giuseppe Pignatone, è emersa evidente. Il primo passo è stato accelerare le procedure per mettere una pietra tombale sul caso, obiettivo che si è realizzato nel 2015, sostanzialmente in due mosse: facendo firmare la richiesta di archiviazione a sostituti procuratori consenzienti (Ilaria Calò e Simona Maisto) e spogliando dell’inchiesta il vero titolare (Giancarlo Capaldo), che infatti non ha firmato l’atto, dichiarandosi in dissenso. Forte dell’autorevolezza e della visibilità conquistata grazie a Mafia Capitale (ora tuttavia in declino, man mano che i processi vanno avanti e vedono cadere molte tesi accusatorie), il procuratore Pignatone ha avuto dalla sua l’appoggio dei media: nessuno, salvo rare eccezioni, ha raccontato finora i veri retroscena del caso Orlandi-Gregori, né verosimilmente lo farà mai. Troppo alta è la posta in gioco. Viene in mente il Leviatano di Thomas Hobbes, lo Stato-mostro che toglie diritti ai cittadini-sudditi, in ragione di un dominio assoluto e indiscutibile. In questo caso, purtroppo, si tratta di un diritto duplice e fondamentale, prezioso come l’aria: quello di tutti i cittadini a conoscere la verità e delle vittime ad ottenere giustizia.
Fabrizio Peronaci
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